Procida | Cosa vedere a Procida: luoghi di interesse ⋆ FullTravel.it

Procida, l’isola della Graziella: guida alla visita

Procida è un’isola mistica, magica, ricca di cultura popolare e con una grande tradizione dell’arte marinaresca. Ecco cosa vedere a Procida, l’isola a largo di Napoli.

Procida
Massimo Vicinanza
10 min di lettura

Per la mitologia classica Procida, in Campania, è un fiore caduto dal monte Epomeo della vicina isola di Ischia. Un’altra leggenda dice che nel ventre dell’isola si nasconde il gigante Tifeo, che voleva spodestare Giove e che invece venne scaraventato sulla terra; il gigante è ora sotto al basalto che lo imprigiona, e scuote le sue 50 teste per liberarsi. Vediamo cosa vedere a Procida.

Procida, capitale italiana della cultura 2022

Procida, dove si trova

Geologicamente l’isola è legata ai Campi Flegrei, i “campi ardenti” degli antichi greci e poggia su quattro crateri spenti. Procida è un’isola mistica, magica, ricca di cultura popolare e con una grande tradizione dell’arte marinaresca. La sua storia è piuttosto movimentata. Fu colonizzata dai greci del golfo di Napoli, poi dai coloni Calcidesi e Eritrei e in età romana fu più volte attaccata. Ebbe poi con il suo signore Giovanni da Procida, un importante ruolo nella Guerra dei Vespri fra Angioini e Aragonesi nel XIII secolo.

Veduta di Procida
Veduta di Procida

2 Procida nella storia

Nel Cinquecento, Procida subì ripetuti attacchi dai pirati saraceni, che misero in ginocchio l’economia e provocarono una drastica riduzione della popolazione. In quel periodo a Procida si contavano meno di 2000 abitanti, tutti concentrati fra le mura del piccolo borgo Terra.

Nel 1799, durante la rivoluzione napoletana che istituì la repubblica partenopea dichiarando decaduto il potere borbonico, il commodoro Trowbridge con i suoi soldati inglesi occupò l’Isola e per ordine di Nelson soffocò i tumulti uccidendo 12 procidani.

Il periodo dell’ emigrazione oltreoceano della fine del secolo scorso inflisse poi l’ultimo duro colpo all’economia dell’isola. I giovani procidani andarono altrove a cercare lavoro, e partirono per il Sudamerica e per gli Stati Uniti. Molti marinai cercarono un imbarco su navi mercantili straniere e furono pochi i fortunati che restarono nella propria terra. Tutti questi accadimenti hanno reso il carattere procidano mite e allo stesso tempo coraggioso, capace di resistere alle privazioni e devoto alla religione. Nell’isola sono molto rari i reati di sangue; i suoi abitanti sono piuttosto schivi e sono “isolani” quasi per scelta.

Procida nel 1972 - Foto di Paolo Monti
Procida nel 1972 – Foto di Paolo Monti

3 Procida oggi

Procida oggi è un’isola florida e ricca, anche se ciò non traspare. Qui tutti gli uomini sono abili marinai e validi pescatori. Per la pesca si affidano al buon volere delle stagioni traendo dal cielo i segnali propizi. Pur conoscendo alla perfezione la loro arte sono prudenti e non rischiano nulla in più del necessario, come ha loro insegnato la buona cultura marinaresca. Mentre gli armatori e i capitani con le grandi navi sfidano gli oceani e le tempeste per portare a buon fine le loro ricche spedizioni mercantili.

Nell’Ottocento i velieri procidani andavano in giro per tutti i mari e veleggiavano fino in Australia. A Procida molte famiglie hanno almeno una nave di proprietà, il cui comando è di solito affidato agli stessi armatori. Diventa così un’impresa a conduzione familiare, dove gli uomini a bordo svolgono il lavoro marinaresco mentre le donne, a terra, si occupano della gestione dell’azienda-nave. Per molti mesi all’anno i contatti fra l’equipaggio e i familiari avvengono solo via radio, e nei periodi di riposo, quando tutti sono a casa, è festa grande.

Procida, veduta dall'alto
Procida, veduta dall’alto

4 Procida e le lenze per i palamiti

Si racconta che alcuni navigatori procidani, durante i loro lunghi viaggi in oriente, abbiano importato dalla Cina una ricetta segreta per conciare i fili delle lenze e delle reti da pesca. A Procida si producono così due tipi di filo, uno trasparente e lucido unico in Europa, e l’altro arancione, tradizionale. Con questo filo i pescatori allestiscono i loro palamiti. Si tratta di complessi sistemi per la pesca di profondità, che spesso superano i 500 metri di lunghezza e che sono armati con qualche migliaio di ami.

Procida, reti e lenze
Procida, reti e lenze

5 I procidani e il mare

I procidani vivono accanto al mare e naturalmente vivono “del” mare: e questo ha fatto la loro ricchezza. Il benessere economico ha portato ad un incremento demografico, e nell’isola oggi si contano 2700 anime per kmq, una delle massime densità abitative della terra. La vita a Procida è tranquilla, e fra i muri delle case assolate si gode la serenità familiare; per i procidani la famiglia è molto importante, forse proprio per il distacco forzato causato dai lavori sul mare. Alcune case sono immerse negli agrumeti e nelle vigne, o spuntano tra i gelsomini e le piante profumate; l’isola è una grande macchia mediterranea primitiva adagiata sui tufi gialli e grigi e sui basalti vulcanici di molti millenni fa. Procida è una terra di grande fascino.

Procida, Napoli
Procida, Napoli

6 Vivara, l’isola riserva naturale

All’estremo lembo dell’isola c’è Vivara. E’ un isolotto di appena 34 ettari di superficie, collegato a Procida da un ponte-acquedotto. Qui, in una sorta di relitto fitoclimatico sopravvissuto allo scorrere del tempo convivono oltre 500 entità botaniche, tra cui molti esemplari di roverella e di quercus pubescens. La selvatica vegetazione di questa rigogliosa riserva naturale, cresta di un cratere aperto, si completa con il fico d’india e con la velenosa ferula dai gialli ombrelli.

Nel Settecento Vivara era una delle tante riserve di caccia reali, governata da misure rigidissime. Qui il re di Napoli Carlo di Borbone fece impiantare un vivar, un allevamento di conigli. Oggi i conigli selvatici ci sono ancora e le regole per l’accesso sono sempre severe, soprattutto dopo i recenti scavi archeologici che hanno portato alla luce alcuni importantissimi reperti di origine micenea. L’ingresso nell’oasi naturalistica è possibile solo da maggio a ottobre.

Dalla sommità dei 109 metri di Vivara, l’isola di Procida appare piatta come una sogliola, anche se il grande poeta latino Virgilio disse “tum sonitu Prochyta alta tremit“. I punti più elevati dell’isola sono l’Olmo, con i suoi 51 metri e Terra Murata alta 91 metri sul mare.

Isola di Vivara, Procida
Isola di Vivara, Procida

7 Borgo Terra

Nel Cinquecento il borgo di Terra era l’unico nucleo urbano dell’isola. Sulla sommità di Terra Murata, a strapiombo sul mare, cinto da mura e avulso dalla quotidianità dell’isola, c’è il castello che era dell’abate di Procida, il cardinale Innico d’Avalos. Da questa posizione si domina il canale che separa l’isola dalla terraferma. Un tempo il castello era una dimora reale. Trasformato in carcere duro l’istituto di pena fu poi chiuso negli anni cinquanta. Da allora l’imponente struttura è stata abbandonata.

Borgo Terra a Procida
Borgo Terra a Procida

8 Il corsaro Barbarossa e i pirati

Battuto dai venti di Libeccio e di Tramontana, il castello era punto di osservazione privilegiato per l’avvistamento di saraceni e barbari d’Africa, che con le loro scorrerie seminavano terrore e morte in tutto il Mediterraneo. La leggenda narra che il corsaro Khair-ad-din, più noto come “Barbarossa”, nel 1534 tentò con le sue veloci navi l’ assalto a Procida. Ma comparve in cielo San Michele Arcangelo che con la sua spada lucente cinse di fiamme la cittadella per proteggerla, e con un lancio di fulmini mise in fuga il temutissimo pirata turco. Ancora oggi alcuni vecchi pescatori procidani raccontano di aver visto sui fondali del mare le catene e le ancore che i pirati gettarono in acqua per scappare più velocemente. La storia invece ci dà una diversa versione dei fatti. Durante l’assalto del 1534, verso la metà di agosto, i musulmani sbarcarono sull’isola e quasi la distrussero.

Il rione Terra Murata fu saccheggiato e interamente bruciato, i pirati devastarono le coltivazioni e ridussero molti abitanti in schiavitù. Ancora peggio fu l’incursione dell’ultima decade di giugno del 1544, durante la quale lo stesso corsaro Barbarossa e i suoi uomini catturarono circa mille e cinquecento persone, dopo aver bruciato case, grano e quant’altro trovavano lungo il loro cammino. Comunque nel 1627 gli isolani, molto devoti a San Michele, gli dedicarono una statua d’argento e a Terra Murata gli intitolarono l’ Abbazia.

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