Massimo Vicinanza parla della mostra Kastellos

All'indomani della presentazione a Madrid della mostra Kastellos. Viaggio fotografico nell'architettura nomade, Massimo Vicinanza parla dell'origine dell'ispirazione che ha dato vita a questa esposizione di scatti realizzata presso l'Istituto Italiano di Cultura a Madrid.

Un gran numero di visitatori ha già ammirato le foto della mostra Kastellos. Viaggio fotografico nell’architettura nomade di Massimo Vicinanza. Complice la curiosità per palazzi così fantasiosi ed affascinanti, molti hanno potuto avvicinarsi ad una realtà per lo più poco conosciuta, raccontata dagli scatti del fotogiornalista e capo redattore di FullTravel.
Qual è l’origine dell’ispirazione per questa mostra? Quali le caratteristiche peculiari dei Kastellos?
E’ lo stesso Massimo Vicinanza a parlarne, spiegando l’evoluzione delle sue ricerche sull’etnia Rom, la sua introduzione negli ambienti delle caste libere e le scoperte architettoniche, testimoniate dagli scatti della mostra Kastellos. Viaggio fotografico nell’architettura nomade: “Alcuni anni fa un amico architetto mi mostrò delle foto dei Kastellos. Ne rimasi affascinato. Erano immagini di ville stravaganti, fantastiche, impossibili da classificare in uno stile omogeneo, ma allo stesso tempo composte da elementi decorativi riconoscibili nell’Europa centrale e orientale, in Asia, in Russia, e perfino in America: strutture con alte torri gotiche, tetti aguzzi boemi, cupole sassoni, coperture a pagoda, frontoni orientali a carena, guglie e pinnacoli. E ancora, facciate floreali, merletti déco, ricami di madreperla, archi ribassati sulle finestre, intagli barocchi, logge a linee curve e dinamiche ma anche a rigide griglie verticali, larghe colonne hollywoodiane, ingressi sontuosi.
Le ville così appariscenti, molte delle quali allora erano in costruzione, si trovano in Romania e appartengono a gente di etnia Rom. Non riuscivo ad immaginare come l’ultimo popolo nomade d’Europa, conosciuto per i campi stipati di roulotte delle nostre periferie e per tutti i mestieri senza patria, potesse abitare in palazzi come quelli. Si trattava dunque di una realtà culturale poco conosciuta e di un tesoro nascosto, fatto di forme e luci, assolutamente straordinario per un fotografo di viaggio.
Le mie ricerche sull’etnia Rom mi hanno spiegato un universo differente da quello a cui siamo abituati. È un popolo con lontane radici orientali, originario delle regioni dell’Uttar Pradesh nella valle del Gange, e del Sindh, nel Pakistan occidentale, che oggi abita in moltissime piccole comunità sparse nel mondo. Nella loro lingua, il romanì o romanesh, di origine sanscrita, il termine Rom significa “Uomo, essere umano”. Sebbene fosse di razza ariana, questo popolo fu vittima di azioni di sterminio nazista ed ebbe oltre mezzo milione di vittime (i campi di Dachau, Buchenwald e Birkenau erano “specializzati” in gitani). Oggi si stima che nei cinque continenti ci siano 30 milioni di Rom, ma è un dato molto incerto. Il popolo dei Rom, conduce da sempre una vita nomade. Relativamente conosciuta è la loro storia, la lingua e la cultura, e poco nota è anche l’origine di personalità famose, come Charlie Chaplin, Yul Brinner, Django Reinhardt, Michael Caine, Paco De Lucia, Joaquin Cortes, Tony Gatlif o ancora i calciatori Pirlo, Reyes e Quaresima, tutti di etnia Rom. Il loro stile di vita, spesso, viaggia nel mito, nella letteratura e nella cinematografia occidentale, connesso al sogno senza tempo di una esistenza bohemienne o alla perenne ricerca spirituale senza residenza, come nei film di Emir Kusturica. Il mio itinerario nel mondo dei Rom di Romania è stato segnato dall’incontro con gente da qualche anno sedentarizzata, che abita nelle lontane periferie delle città, in insediamenti urbani contraddistinti dai Kastellos. I proprietari dei palazzi appartengono alle caste libere, gruppi élitari ormai dediti soprattutto al commercio in larga scala.
Per un gagé, un non Rom, entrare in quei quartieri non è facile, e bisogna riuscire a superare uno spesso muro di reciproca diffidenza. Ma se si è accolti, allora si apre un mondo fatto di ospitalità e di amicizia, con ruoli, gerarchie, diritti e doveri, come in qualsiasi altra società moderna.
La famiglia è il cardine sociale ed è considerata l’unico bene trasferibile ai figli e la casa diviene la raffigurazione pubblica di un’agiatezza raggiunta, di un ruolo sociale ricoperto, di una stabilizzazione definitiva. Ma nell’architettura delle residenze, nelle facciate e negli interni di questi fantastici castelli, che compaiono all’improvviso e che si snodano a perdita d’occhio fin quasi fuori dalla realtà, riemerge il nomadismo lontano, a tratti forse nostalgico. Allora i Kastellos  diventano la materializzazione dei sogni raccolti, le scatole dei viaggi e la memoria dei luoghi remoti percorsi, oppure solo velocemente attraversati”.

Si ricorda che l’esposizione è ancora visitabile, aperta per le prossime due settimane presso l’Istituto Italiano di Cultura sito in Calle Mayor, 86 a Madrid.

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