Il Teatro Ducale delle Saline, indicato genericamente anche come “piccolo” o “delle commedie”, si costruì nell’agosto 1593, grazie al contributo di un ricco commerciante piacentino: Pietro Martire Bonvino. A tal fine furono opportunamente adattati gli spazi posti nella zona superiore di un edificio, adibito al pianoterra a magazzino del sale e dazio, sito presso la chiesa di San Protaso, ormai da tempo scomparsa, non lontano dalla piazza “dei Cavalli”, all’angolo delle attuali via Romagnosi e via Cavour. Non vi fu apportata alcuna modifica o decoro che ne indicasse esternamente il sopravvenuto adattamento, pare infatti che avesse mantenuto l’aspetto di un fortilizio, massiccio e belligero con tanto di sopravviventi merlature. Sono invece più documentati gli interni grazie alle nitide piante, conservate presso la Biblioteca Passerini Landi di Piacenza ed elaborate nel 1758 dal Francesco Zanetti incaricato del restauro del teatro, dichiarato pericolante fin dal 1746, un’altra pianta si conserva presso l’Archivio di Stato di Parma, fondo Mappe e disegni, 23/35, datata 21 febbraio 1743. Il teatro, di ridotte dimensioni, aveva la sala con planimetria a “U”, platea e tre ordini di palchi sovrapposti, di cui il primo poggiante su una teoria di colonnine lignee. Ciascun ordine era formato da ventisei logge, oltre a quella ducale; un ultimo ordine, detto “dei rondoni”, era destinato al popolo minuto. Il palcoscenico era piuttosto piccolo e privo di adeguati locali per le necessità delle rappresentazioni e degli attori, nonché di spazio per l’orchestra, mentre erano presenti servizi destinati al pubblico quali, per esempio, un’osteria adiacente alla platea e un caffè al primo ordine. Nulla è dato però sapere al di là delle indicazioni relative alla struttura puramente architettonica, ossia per esempio se avesse o meno decori plastici o pittorici. Fu sicuramente attivo fino al 1804 e, da una perizia redatta da Lotario Tomba tre anni dopo, risulta ancora in discrete condizioni conservative. L’origine del Teatro Ducale di Palazzo Gotico, detto anche più genericamente di Piazza, risalirebbe al maggio 1644 quando, in occasione dei festeggiamenti per la pace fra il duca Odoardo e papa Urbano VIII, tra gli eventi organizzati particolare rilievo ebbe l’allestimento, nel Salone del Palazzo Comunale detto tuttora il “Gotico”, della tragicommedia La finta pazza di Giulio Strozzi musicata da Francesco Sacrati con l’esecuzione degli Accademici Febiarmonici. Molto probabilmente, si trattò della prima messa in scena di un dramma in musica a Piacenza; e il successo dell’iniziativa sollecitò l’idea di costruire nel salone di questo palazzo un teatro vero e proprio. L’idea si concretizzò nel 1646, sotto la direzione dell’architetto piacentino Cristoforo Rangoni detto Ficcarelli fu allestita questa sala teatrale. Con la sua struttura a quattro ordini di palchi, in legno a finto marmo, decorato con figure e stucchi in oro e colori e con un sipario in massiccio tavolato su cui pare fosse raffigurata la città di Piacenza vaga di colore e ricca d’oro, chiara di lumi, un palco scenario dotato di macchine atte a soddisfare le complicate messe in scena seicentesche; si qualificava quale teatro destinato a svolgere funzione celebrativa ed elitaria che quindi escludeva il pubblico a pagamento. Questo dato sarebbe confermato, stando alla documentazione raccolta, anche dalla sporadica attività che vi si svolse, costituita esclusivamente da importanti allestimenti di drammi in musica ed interrottasi peraltro attorno al 1728. Tra gli eventi teatrali più clamorosi è da ricordare l’allestimento del Coriolano di Cristoforo Ivanovich nel maggio 1669 in occasione di pubblici festeggiamenti voluti da Ranuccio II per onorare illustri ospiti. Il grandioso spettacolo comportò, fin dal gennaio di quello stesso anno consistenti e opportuni interventi di adattamento del teatro sotto la direzione dell’ingegnere teatrale veneziano Gasparo Mauro. Il Teatro cosiddetto “di Cittadella” sarebbe, in ordine di tempo, il terzo teatro ducale di Piacenza. Molto probabilmente fu realizzato nella seconda metà del secolo XVII nel fabbricato posto a fianco dell’incompiuta Rocchetta Viscontea, collegata al contiguo Palazzo Farnese mediante un cavalcavia. Inoltre era praticamente contiguo alle oltre trecento botteghe in legno fatte costruire da Ranuccio II per la trattazione delle merci in tempo di Fiere dei cambi e delle mercanzie. Anche di questo teatro sono note le caratteristiche essenziali e la distribuzione degli spazi grazie alle piante disegnate da Zanetti nel 1758 (un’altra pianta a penna acquerellata datata sec. XVIII è conservata all’Archivio di Stato di Parma, fondo Mappe e disegni, 23/59) Più ampio e meglio organizzato rispetto al Teatro delle Saline la sala presentava una consueta pianta ad U allungata dalla morbida curvatura a tutto sesto, cinque ordini di palchi, di cui l’ultimo detto al solito “dei rondoni” corrispondeva all’odierno loggione (per un totale di novantasei palchetti distribuiti sui primi quattro ordini), non mancavano gli spazi accessori per il pubblico quale il ridotto e il caffè. L’ampio palcoscenico era dotato dei necessari servizi, camere per gli attori sartoria ecc., nonché spazio per l’orchestra. Molto probabilmente fu in questo teatro ch’ebbe luogo, con il patrocinio di Ranuccio II, una significativa ripresa operistica legata, tra gli altri, all’attività scenografica dei Galli Bibiena. Solitamente gli spettacoli avevano luogo in aprile e in settembre generalmente in coincidenza con importanti fiere delle mercanzie e dei cambi. Tra gli eventi musicali di maggior rilievo di questo teatro si registra la rappresentazione dello Scipione in Cartagine nuova di Carlo Innocenzo Frugoni, musica di Geminiano Gicomelli, con la presenza fra i cantanti del famoso Carlo Broschi detto Farinello quale protagonista. Lo spettacolo faceva parte di una serie di eventi festivi in onore di Enrichetta d’Este moglie di Antonio Farnese, al suo primo ingresso in Piacenza. Per l’occasione il teatro fu inoltre opportunamente restaurato nonché descritto in un’egloga celebrativa composta dal pastore arcade Bartolomeo Casali, dai cui versi sappiamo, tra l’altro che la platea “[…] ha di sedie immensi giri./ Ove il nobil cerchio ha fine/ Vedi un gran telone pendere/ E su quello pellegrine/ Meraviglie si comprendoni:/ V’è un caval con l’ali al tergo/ Vi son ninfe ch’hanno albergo/ Sulle nubi vi son cose/ Da ridir meravigliose”. Alla fine del Settecento il Teatro delle Saline era ormai fatiscente anche se ancora utilizzato, mentre quello di Cittadella risultava ancora essere il più importante ed aristocratico luogo per i pubblici spettacoli. La città ne resterà priva la vigilia di Natale del 1798 quando un violento incendio distruggerà completamente quest’ultimo teatro. Fu dapprima un certo Pietro La Boubé, cittadino francese arricchitosi nel piacentino grazie ad oculate speculazioni, a richiedere al Governo il permesso di costruire un nuovo teatro (che avrebbe dovuto sorgere in un’area posta nello stesso isolato dove in seguito sorse il Municipale), allegandovi un progetto redatto dall’architetto piacentino Lotario Tomba. Per molteplici ragioni quest’iniziativa non ebbe esito positivo, fu invece una società composta da cinque patrizi piacentini ad ottenere, nell’agosto 1803, dall’Amministratore Generale Moreau de Saint-Mèry il consenso ad edificare un nuovo teatro. Anch’esso progettato dal Tomba sorse su un’area occupata dal palazzo Landi Pietra (che sarà demolito per far posto al nuovo edificio) all’incrocio delle attuali via Giordani e via Verdi nei pressi di San Antonino. La localizzazione prescelta non fu priva di problematiche, da un lato il nuovo teatro avrebbe recuperato alla vita sociale la piazza dell’antica Cattedrale, dall’altro il colloquio della nuova architettura con l’imponente splendida chiesa gotica non poteva essere dei più semplici. Un altro aspetto penalizzante fu la ristrettezza dell’area a disposizione, che il progettista risolse riducendo, forse eccessivamente anche per i bisogni della scenotecnica ottocentesca, il palcoscenico, ma furono penalizzati anche il foyer e gli spazi accessori. La costruzione del nuovo teatro fu condotta in tempi assai brevi, un anno o poco più, e benché privo di facciata e con ornati interni non del tutto in armonia con l’eleganza della sua struttura, venne inaugurato il 10 settembre 1804 con il dramma serio per musica Zamori, ossia L’eroe dell’India, su libretto di Luigi Previdali e musica – appositamente composta – di Giovanni Simone Mayer e con il ‘ballo eroico’ Emma, ossia Il giudizio di Carlo Magno, di Giuseppe Ranzi. Il teatro presenta una sala a pianta ellittica, ritenuta secondo i dettami del Patte (Essai sur l’architecture théatrale, 1782) la meglio rispondente alle esigenze acustiche e visive, quattro ordini di palchi e loggione, mentre strutturalmente è caratterizzato dalla presenza di grandi archi acuti, probabilmente un espediente adottato da Tomba per diminuire le luci e le controspinte a parità di sviluppo verticale. Nel 1826, sotto la guida di Alessandro Sanquirico furono avviati notevoli lavori di decorazione interna e fu dipinto un sipario ormai perduto. Nel 1830, seguendo i disegni di Lotario Tomba, parzialmente modificati, lo stesso Sanquirico portò a termine la facciata, ispirata, anche per espresso desiderio dei committenti alla Scala di Milano. Nel 1857 fu dato incarico all’architetto Paolo Gazzola di curare ulteriori opere di restauro di notevole entità, in particolare fu rifatto il tetto e ampliata la sala sopra la platea ricavando uno spazio ad uso dei pittori scenografi, furono inoltre costruiti ex novo una quarantina di locali accessori mentre altri furono ampliati. Grandi attenzioni furono inoltre rivolte all’apparato decorativo: sotto la direzione Girolamo Magnani la volta della sala fu nuovamente dipinta con la collaborazione di Paolo Bozzini, inoltre furono rifatte le decorazioni dell’atrio affidate a Gaetano Albertelli, delle scale, nonché quelle in stucco e le dorature del boccascena e dei palchi, conferendo agli ambienti quell’aspetto estetico che tuttora conserva. Le vecchie strutture in legno come il tetto, il palcoscenico e le attrezzerie oggi perdute, furono rifatte da Giuseppe Mastellari macchinista del Regio di Parma. Nel 1938-1939 furono abbattuti i tramezzi del terzo e del quarto ordine di palchi per creare due piani di gallerie. Gli argani, i tamburi e i graticci di legno furono abbattuti in un restauro del 1970 in occasione del quale venne sostituita la copertura in legno con una in muratura. Nel restauro del 1976-1979 il laboratorio di scenografia è stato trasformato in sala auditorium per conferenze e concerti, sono state apportate migliorie nei locali di servizio. Dell’antico arredo musicale rimane solo un organo acquistato nel 1836 dai fratelli Serassi di Bergamo. Recentemente il teatro è stato nuovamente oggetto di un importante intervento di restauro. Nella primavera 2001, in occasione del primo centenario della morte di Giuseppe Verdi, il Salone degli Scenografi del Municipale ha ospitato eccezionalmente due esposizioni. Una mostra di opere pittoriche di Pietro Fornari che, ispirandosi alle opere del maestro, ha raffigurato eroi ed eroine noti e meno noti del repertorio verdiano. A questa è seguita una rassegna di opere grafiche di Giancarlo Braghieri ispirate alle musiche di Verdi. Permanentemente è invece esposto nel caffè del teatro il ‘Ritratto di donna con i tre galli’, un grande dipinto del 1950 di Luciano Spazzali, artista piacentino. (Lidia Bortolotti)
Informazioni su Teatro municipale
Via Giuseppe Verdi, 41,
29121 Piacenza (Piacenza)
Fonte: MIBACT