Teatro comunale di Ferrara

Teatro comunale di Ferrara  Ferrara
Teatro comunale di Ferrara Ferrara

Alessandra Farinelli Toselli nel suo ampio saggio sul Teatro Comunale di Ferrara sottolinea giustamente la rilevante importanza di questa città nell’evoluzione dello spazio scenico. Dalle prime messinscene alla corte di Ercole I d’Este, alle commedie dell’Ariosto, via via fino al secolo XVII che fu in questo ambito, segnato dalla presenza e dall’operato di straordinarie personalità. Giovan Battista Aleotti, che nel 1604 progettò il Teatro degli Intrepidi e qui lavorò come scenotecnico fino al 1628, Francesco Guitti, Alfonso Rivarola detto il Chenda, che operò nell’ambito degli apparati scenici al servizio di Borso Bonaccossi, ed infine dallo scenografo Carlo Pasetti che nel 1660 si occupò del rifacimento del teatro Obizzi. Con queste premesse non intende individuare una continuità tra le esperienze sceniche alla Corte Estense e i caratteri architettonici dell’attuale Teatro Comunale, quanto piuttosto evidenziare il carattere sperimentale e innovativo che lega episodi tra loro assai diversi, e il rapporto che si instaura volta a volta tra spazio destinato allo spettacolo e spazio urbano. (cfr. Fiocchi 1984, p. 93)La lunga e travagliata realizzazione di questo particolare edificio si compie in anni decisivi per la definizione tipologica dello spazio teatrale “all’italiana”. Da un lato si afferma il teatro come struttura architettonica autonoma al servizio della città, dall’altro (è ormai affermato lo schema barocco della sala a palchetti) si ricerca la perfetta forma di sala teatrale, al fine di consentire la migliore fruizione e il massimo godimento acustico e visivo da parte di tutti gli spettatori attenuando il più possibile i difetti insiti nell’ordinamento cellulare dello spazio. Antonio Frizzi in Memorie per la storia di Ferrara, sintetizza in modo assai efficace le vicende che si susseguono intorno alla prima fase costruttiva di questo teatro. “Fin dal 1773 erano entrati i nostri concittadini nella brama di avere un teatro, che fosse pubblico, e più capace ed elegante dei due antichi e soli, che rimanevano in questa città di ragione delle Nobili Famiglie Bonacossa e Scrofa. Tentò il Legato Borghese di mettere insieme il denaro occorrente per via di lotto, ma non ne riuscì. Il successore cardinal Carafa stimolato a prendere in considerazione quest’oggetto, vi si presentò coll’usato suo impegno. Ne fece fare un disegno dal valente giovane architetto nostro Giuseppe Campana, e fissato il luogo in uno de’ migliori punti della città obbligò i proprietari delle fabbriche, le quali ivi esistevano a cedere alla Comunità a giusto prezzo. Poiché poi previde che dai proprietari, fra i quali v’era la stessa Camera Apostolica, si sarebbero fatti ricorsi in Roma, che avrebbero potuto por ritardo all’impresa, od ancor arenarla per sempre, prima che scorresse un periodo di posta delle lettere di quella capitale dal giorno della intimata cessione, la notte precedente al giorno 19 aprile 1786 a lume di torchi accesi, fece dar principio alla demolizione degli edifici, talché quelli, che avevano per avventura spediti reclami a Roma per salvarli, non avendo potuto farlo a tempo dovettero essere contenti del prezzo. Allora cominci a cercar le vie per far il denaro necessario, e le trovò pronte coll’efficacia degli assoluti suoi comandi. Già si lavorava a furia, già la parte interna non mancava quasi che del tetto, ed all’esterna erano preparate già le fondamenta, quand’ecco il Cardinal Carafa viene impensatamente richiamato a Roma” (cit. Frizzi 1848, V, p. 232-233). Occorre precisare che il Cardinal Borghese accogliendo le istanze dei cittadini desiderosi di avere un adeguato teatro ne aveva commissionato il progetto, intorno al 1773-1775, sia a Cosimo Morelli che ad Antonio Foschini. Allo stesso tempo pare fosse già stato individuato il luogo più adatto per erigere il nuovo teatro, lo stesso che sarà oggetto degli espropri operati dal Cardinal Carafa. Si trattava della cosiddetta Isola del Cervo, collocata di fronte al Castello estense all’inizio di corso Giovecca, sede di alcune botteghe e principale stazione di posta con annesse stalle (di proprietà di alcuni aristocratici ferraresi e in gran parte della Camera Apostolica). Quest’area aveva il vantaggio di essere poco popolosa e il più centrale possibile. In ossequio ai dettami secondo cui il teatro doveva essere collocato nel centro cittadino, urbanisticamente in stretto rapporto con gli edifici sede del potere e con quelli più significativi della vita sociale(Cfr. Farinelli Toselli 1993, p. 267). Nel 1778 viene chiamato a reggere la Legazione ferrarese l’energico Cardinal Carafa, cui tra l’altro stava particolarmente a cuore il ‘decoro’ della città, pertanto un nuovo teatro più rispondente ai bisogni cittadini avrebbe rappresentato il giusto coronamento alle opere di risanamento da lui avviate. Quel che ne segue è ben descritto nel brano di Frizzi sopracitato. All’arrivo del nuovo Cardinal Legato, lo Spinelli, il cantiere del teatro si fermò e l’operato di Campana fu messo pesantemente sotto inchiesta. Dapprima si rilevarono le mancanze sotto il profilo della gestione finanziaria, quindi fu messo in discussione il suo operato di progettista e direttore dei lavori, puntando il dito sulle deficienze della fabbrica (elevata fino al tetto) . Da questo momento iniziarono furiose polemiche e liti, anche giudiziarie, che videro l’avvicendarsi di illustri personaggi, chiamati in qualità di esperti e consulenti (Piermarini, Valadier e Stratico) e di progettisti (Marchelli, Morelli e Foschini). Recenti studi hanno sciolto due importanti questioni relative a questa fabbrica. In primo luogo si riutilizzò buona parte della struttura già costruita sotto la direzione del Campana. Secondo quanto era stato consigliato da Valadier, Stratico, Piermarini ed anche dallo stesso Morelli introducendo alcune migliorie, tra cui l’ampliamento del palcoscenico e la modifica del profilo della cavea, che avrebbe dovuto essere ellittico. In secondo luogo sono stati individuati i diversi apporti, in qualità di progettisti, di Foschini e Morelli. Nel quadro di una collaborazione imposta dall’alto e mai accettata Cosimo Morelli ebbe funzioni di supervisore, dando il suo apporto con una continua verifica delle varie fasi del lavoro e concreti spunti progettuali, mentre Antonio Foschini è da ritenersi l’effettivo costruttore di questo teatro. Il teatro, frutto di tante diatribe, non a caso è stato giudicato fin dalla sua origine il più armonioso e ben architettato della nostra penisola. Esso rappresenta la sintesi delle sperimentazioni che nel corso dei secoli XVII e XVIII avevano investito il teatro nella sua globalità. Dalla ricerca sull’effetto armonico della sala (non a caso sulla scelta della linea ellittica da adottare si scatenò tra Foschini e Morelli una delle dispute più insidiose), alla grande attenzione riservata all’ambientazione urbana e al rapporto con la città. “La presenza del teatro nella città si impone non certo in chiave monumentale, come le contemporanee esperienze avrebbero suggerito, ma per il dialogo dei due lati dell’edificio con la strada e la piazza, per la compenetrazione tra spazio esterno e spazio interno realizzato nella cosiddetta ‘rotonda’, il cortiletto interno a forma ellittica destinato allo scorrimento delle carrozze che entrando dal portico di fronte al castello potevano defluire sulla Giovecca.” (cit. F.Fiocchi 1984, p. 94) Infatti il rapporto tra teatro e spazio urbano si realizza attraverso una efficace soluzione d’angolo contraddistinta dall’uniformità stilistica di fianco e prospetto. La facciata principale, caratterizzata da sette archi inseriti in un ordine bugnato, non è affatto imponente e, anche per motivi di ordine economico, fu ideata priva di elementi decorativi. Se all’esterno questo teatro rinuncia a dichiarare le proprie funzioni, internamente realizza un’organizzazione distributiva degli spazi in sintonia con quelle coeve e celeberrime della Scala di Milano e della Fenice di Venezia. Analizzando il progetto di Foschini si può notare che sia la sala che il vastissimo palcoscenico sono largamente dotati di numerosi locali accessori ben disimpegnati. Al servizio del pubblico le ampie sale del Ridotto, un tempo destinato a sala da ballo pertanto dotato di un ‘insolita balaustra per l’orchestra, altre salette adiacenti, ed una ‘trattoria’ e ‘botteghe’ poste nel vano seminterrato sotto la platea definito “grotta”. L’invaso della sala accuratamente studiato (si veda del Foschini la Dissertazione sulle curve teatrali) è caratterizzato da pianta ellittica con quattro ordini di palchi a fascia sporgente rispetto ai sostegni e loggione, soffitto a volta ribassata, e soprattutto dall’eliminazione dell’ingombrante boccascena architettonico con relativi palchi. La separazione architettonica tra sala e palcoscenico è così meno netta grazie a due semplicissimi pilastri su cui poggia un arco semiellittico. Un altro elemento di interesse è costituito dai materiali e dalle tecniche costruttive impiegate, utilizzando un particolare laterizio tanto sottile quanto avrebbe potuto essere il legno, dalla leggerissima struttura del soffitto e dal profilo centinato dei palchi, al fine di sortire un buon effetto armonico. Infine la struttura della scena, curata nei minimi dettagli, è stata costruita secondo schemi e canoni all’epoca già affermati, con l’apporto comunque di ulteriori perfezionamenti da parte di Foschini. Dall’inaugurazione, avvenuta nel settembre 1798 con Gli Orazi e i Curiazi di Portogallo, il teatro è stato più volte oggetto di restauri e abbellimenti. La primitiva decorazione, realizzata ad opera di Serafino Barozzi in collaborazione con il quadraturista Santi e con lo Zuliani, viene sostituita nel corso dei primi restauri eseguiti nel 1825-1826, l’incarico è dato ad Angelo Monticelli che rappresenta sulla volta l’Apoteosi dell’Ariosto. Mentre l’artefice dell’attuale apparato decorativo è Francesco Migliari. Nel 1833 gli viene commissionato un nuovo sipario su cui egli rappresenterà Orlando nell’atto di consegnare lo scudo a Rinaldo, sullo sfondo una veduta di Ferrara. Nel 1845 Migliari, affiancato da Gaetano e Girolamo Domenichini e dal Davia, realizzano una nuova decorazione per l’attuale Ridotto. Si arriva così al 1849-1851, anni in cui il teatro è oggetto di restauri e abbellimenti di notevole entità. In questa occasione il Migliari mette mano alla volta, è la sua ultima grandiosa impresa. Il nuovo assetto decorativo prevede, oltre ai fregi, quattro scene della vita di Giulio Cesare: Giuramento sull’ara della Patria; Promulgazione della legge agraria; Dono ai pretoriani delle terre dei vinti; Posa della prima pietra del tempio di Marte. Il patriottismo dell’epoca è assai probabilmente l’ispiratore del soggetto adottato che simboleggia la sacralità della Patria, la sanità degli antichi costumi, civilizzazione ed economia, ed infine Marte il dio della guerra che deve far rinascere l’Italia unita. (Cfr. Farinelli Toselli 1993, p. 276-279, cui rimandiamo per una maggiore conoscenza dell’apparato decorativo del teatro e delle modifiche subite nel corso dell’Ottocento). Nel corso di questi ‘riabbellimenti’ si effettuarono anche restauri strutturali di cui i più consistenti furono quelli effettuati nel 1849-1851, in quanto tutto il teatro necessitava fortemente di restauro. Nel nostro secolo, pur ricorrendo le opere di manutenzione sia ordinaria che straordinaria (quale per esempio l’installazione dell’impianto elettrico e la realizzazione del golfo mistico), non vengono effettuate opere di rilevante entità fino all’inizio degli anni Sessanta. Nel 1940 parte dei locali annessi al teatro furono occupati da truppe e comandi di tappa tedeschi, nonché dagli sfollati, questo fatto determinò un forte degrado dell’intero complesso. Nel dopoguerra il teatro aprì saltuariamente fino al 1956 quando fu dichiarato inagibile e pertanto chiuso. L’ingegner Carlo Savonuzzi, incaricato del restauro, condusse l’intervento con profonda conoscenza delle stratificazioni storiche e delle tecniche di recupero e sostituzione. La rilevante mole dell’opera portata a termine tra il 1961 e il 1964 interessò principalmente la parte ‘aulica’ del teatro. In sintesi furono apportate modifiche, nel rispetto delle linee originali, all’atrio e al Ridotto (adibito fino ad allora a circolo ricreativo) che fu opportunamente riorganizzato per destinarlo a funzioni pertinenti il teatro. Inoltre furono restaurati il sipario storico e le decorazioni del Migliari, rifatti gli arredi, rinnovato il loggione e modificata la cosidetta “grotta” sotto la platea, in cui furono ricavati servizi igienici. Infine rinnovati i pavimenti, le scale, il tavolato del palcoscenico, rifatta l’impiantistica e installato il sipario tagliafuoco. Nel 1987 è stato avviato l’ultimo importante restauro (in gran parte realizzato) diretto dall’architetto Giulio Zappaterra e associati di Ferrara. L’opera ha riguardato le cosiddette pertinenze del Teatro Comunale e soprattutto l’adeguamento dell’intero impianto alla vigente normativa di sicurezza, che nel caso specifico ha richiesto una consistente quota di interventi di non facile attuazione date le caratteristiche storiche e tipologiche dell’edificio. E’ stata questa l’occasione per procedere al recupero di tutti quegli ambienti che, pur facendo parte del teatro, erano inutilizzati o destinati ad attività incongrue e pertanto vietate dalla normativa. Sono stati così realizzati: sale per prove drammaturgiche e musicali, uffici amministrativi e direzione, alloggio del custode, laboratorio di falegnameria e attrezzeria. Con la consulenza di un esperto internazionale sono stati inoltre operati alcuni raffinati interventi per migliorare l’acustica della sala, peraltro già buona, resisi necessari quando il maestro Claudio Abbado ha accettato di insediare a Ferrara – dopo Londra, Vienna e Berlino – la Chamber Orchestra of Europe. Il teatro svolge un’attività di ottimo livello assai intensa e diversificata. (Lidia Bortolotti)

Informazioni su Teatro comunale di Ferrara

Corso Martiri per la Libertà,
44121 Ferrara (Ferrara)

 Fonte: MIBACT

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