Una larga piazza con la chiesa settecentesca, con la fontana, con gli abbeveratoi e i lavatoi pubblici al centro, e, come un grande anfiteatro, la cortina delle case con le botteghe, le stalle, le cantine, e le strette vie interne, le cappelle, il cimitero e le mulattiere che conducono ai campi: così, oggi come ieri, appare Roscigno Vecchia abbandonata dagli abitanti perchè minacciati dalla frana, trasferiti durante questo secolo nel paese nuovo, più a monte in terra sicura.
Ma Roscigno non è un paese fantasma, i suoi sentieri sono percorsi quotidianamente dai contadini per i lavori in campagna, e le case in migliori condizioni sono state trasformate in depositi per gli attrezzi e in stalle per gli animali; la piazza è ancora punto di incontro e di ritrovo per molti dei vecchi abitanti, e si sente nell’aria il legame che la gente ha per il proprio antico borgo.
Tutto ciò è per il visitatore di grande fascino e di estremo interesse: la storia traumatica, i trasferimenti forzati, le trasformazioni funzionali delle case, i tradizionali sistemi di vita e di lavoro si riflettono nella particolare struttura urbanistica, nei portali, nelle finestre, nei balconcini di ferro, nei solai in legno e nelle murature di pietra viva.
Roscigno Vecchia è dunque diventata un museo spontaneo che raccoglie varie stratificazioni di documentazione storica; non è un luogo dove si conservano semplicemente oggetti o un museo di opere d’arte o di storia naturale: è un “museo-città”, uno spazio non chiuso fra quattro mura ma all’aperto, dove i limiti perimetrali sono dati solo dalle campagne circostanti; un museo costantemente visitabile, 24 ore su 24, per 365 giorno all’anno, un luogo di riflessione dove si respira un’atmosfera legata ai ritmi biologici della natura. Per lo studioso Roscigno è un “documento globale” di storia sociale, ma soprattutto è un eccezionale laboratorio di ricerca culturale “en plein air”.
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