Grazie al radicale mutamento culturale avvenuto negli ultimi decenni oggi abbiamo gli strumenti per recepire e comprendere l'enorme quantità di messaggi contenuti nelle opere della cosiddetta "Art Brut", l' arte grezza, la "outsider art".
Quella che qualcuno definisce con disprezzo “arte psicopatologica” non è altro infatti che la materializzazione di quei sentimenti e di quelle sensazioni che sarebbero presenti in ciascuno di noi, senza condizionamenti culturali, sociali o religiosi.
In un museo di art brut c’è una strana ed inquietante familiarità con le opere esposte.Si tratta di opere realizzate senza un briciolo di conoscenza di tecnica e molto spesso utilizzando solo materiali di fortuna,. Gli autori sono in massima parte disadattati, emarginati e psicopatici, ma ci sono anche detenuti, gente tendenzialmente asociale, da vagabondi. Tutti personaggi che hanno in comune una “lucida follia”, una irrequietezza interiore piu evidente o piu coltivata che negli altri.
Non bisogna confondere l’art brut con l’arte naif. Quest’ultima si rivolge ad un mercato, ha delle tecniche e dei canoni da seguire, mentre l’art brut è fine a se stessa, è una sorta di diario personale, è un mondo assolutamente privato. L’approccio alle opere deve quindi avvenire con umiltà e senza critica.
La grande creatività e la vigorosa immaginazione di questi artisti provocano una violenta rottura con la realtà quotidiana, e traducono in termini pratici il lato “buono” della parola “follia”. Un termine dal doppio significato: costruttivo e creativo o potenzialmente pericoloso per la collettività, e non solo in senso fisico quanto soprattutto morale. Secondo la cultura occidentale l’unica follia accettabile, giustificata, è solo quella che si incontra nel mondo dell’arte. Ma qui siamo al di là della follia. L’ art brut esce fuori da qualsiasi binario e naturalmente viene accolta con avidità da psicoterapeuti e da psichiatri, che vedono in essa grandi possibilità di ricerca.
L’arte per il business o l’arte per l’arte?
L’ideatore del Museo dell’Art Brut è stato il francese Jean Dubuffet. Un giorno si pose la domanda: cosa devo aspettarmi dall’arte? forse solo bellezza estetica? oppure oggetti da destinare all’ arredamento? Ma presto si convinse che il suo sarebbe stato “un viaggio molto piu lungo e avventuroso”, alla ricerca di una rottura profonda con le norme che stabilivano i canoni artistici e che vincolavano a procedure solo ufficialmente riconosciute. I frutti di quella ricerca durata un’intera vita sono stati raccolti in un museo molto speciale, la Collezione dell’ Art Brut di Losanna in Svizzera.
Quello dell’Art Brut è un museo unico nel suo genere che raccoglie opere di artisti di tutto il mondo, accomunati dalle “non norme” proprie di questo genere d’arte. Proprio in Svizzera Dubuffet iniziò, nel 1945, la ricerca e la raccolta di “produzioni d’arte extra culturali”. Nel corso gli anni riuscì a raccogliere oltre 1200 opere realizzate da artisti di differenti nazionalità, e nel 1967 ne espose una parte nel museo delle Arti Decorative di Parigi. Nel 1976 la collezione fu trasferita dalla Francia in Svizzera e si inaugurò la Collection dell’Art Brut di Losanna.
Due i rappresentanti del Belpaese
Fra le opere della collezione ci sono le sculture di Filippo Bentivegna, nato nel 1885 a Sciacca in Sicilia. Un personaggio molto originale, rabdomante, emigrato per 20 anni negli Stati Uniti e amante del legno, soprattutto di quello nodoso da cui ricavava sculture di figure equivoche e con metamorfosi inaspettate. E poi ci sono le opere di Carlo, classe 1916, originario di S. Giovanni Lupatolo, un piccolo paese della provincia di Verona. Dal 1957 Carlo ha consacrato tutto il suo tempo al disegno. Uomo solitario con un cane per compagno fu arruolato e spedito al fronte da dove tornò sotto choc. Col tempo si aggravò e poiché andava soggetto a visioni e a manie di persecuzione venne internato nell’ospedale psichiatrico di Verona.
Oggi Filippo e Carlo sono rispettati e ammirati. Nel museo dell’Art Brut di Losanna.
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