Gesualdo: duelli, passioni amorose e madrigali

Nell'anno 663 un Cavaliere Longobardo nel tentativo - peraltro riuscito - di salvare la città di Benevento assediata dall'armata di Costante II,  imperatore bizantino conosciuto anche col soprannome di "Pogonato" - il barbuto - per la sua lunga barba, venne ucciso e decapitato, e la sua testa fu gettata all'interno delle mura del Ducato.

Gesualdo
Gesualdo

Si racconta che durante l’assedio da parte dei Greci il giovane Romoaldo, trovandosi in serie difficoltà chiese al suo servitore di raggiungere suo padre a Pavia, dove era impegnato in “azioni guerresche”, per chiedergli di inviare rinforzi. Il soldato riuscì a raggiungere il Duca e tornò verso Benevento per comunicare al suo Principe l’imminente arrivo degli aiuti. Ma prima di raggiungere la sua meta fu catturato dagli uomini di Costante II e in cambio della libertà accettò di mentire al suo Principe; quando però fu al cospetto del suo Signore il Cavalier Gesualdo gli annunciò apertamente che il Duca padre aveva già ordinato ai suoi soldati di raggiungere Benevento. Costante II, costretto a togliere l’assedio alla città, non risparmiò il Cavalier Gesualdo e lo fece catturare e decapitare.

Gesualdo diede più volte prova del suo attaccamento ai Duchi, e questo gli procurò vari incarichi di fiducia, fra cui quello della costruzione di un grande fortilizio a difesa degli ampi possedimenti dei Signori. Venne scelto un punto in una posizione molto strategica, sulla sponda settentrionale del fiume Fredane, nella cui valle si snodava una delle principali vie che conducevano a Benevento, su di un colle a 650 metri di altezza, da dove si poteva controllare una vasta porzione di territorio del Gastaldato di Quintodecimo; lì fu costruito un maniero, e col tempo iniziarono a sorgere nei suoi pressi molte case, dando così luogo ad un vero e proprio paese. Il Duca Grimoaldo pensò di dare in feudo quella porzione di ducato al suo fedele Cavaliere e ai suoi discendenti, e da questi il paese prese il nome attuale. Gesualdo divenne anche signoria di paesi vicini come Frigento Mirabella Eclano, San Mango. Nel XII secolo il fortilizio diventò un vero e proprio Castello, e ospitò nelle sue stanze anche i benedettini di Montecassino che si recarono a Lagopesole per incontrare papa Innocenzo II. Estinta la famiglia longobarda dei Gesualdo, iniziò nel 1078 la dinastia normanna. Le notizie ufficiali dell’abitato risalgono a quando feudatario del paese era Guglielmo di Altavilla, signore di Lucera e nipote di Roberto Guiscardo; nato da una relazione adulterina fra Ruggiero Borsa, duca di Puglia e Maria, una donna salernitana, ebbe, oltre alla signoria di Gesualdo altri possedimenti in Irpinia, ed ottenne da re Ruggero il titolo di Barone.

 

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Gesualdo tornò ad appartenere a una famiglia normanna dopo alterne vicende che videro protagonisti gli svevi, grazie a Carlo d’Angiò che rinominò feudatario Elia II, nipote di Ruggiero, a cui sono succeduti per circa due secoli i suoi discendenti. Nel 1456 alcuni appartenenti alla casata dei Gesualdo parteciparono alla congiura dei Baroni, e ciò scatenò le ire di Ferrante d’Aragona, che nel 1461 inviò le sue milizie per mettere a ferro e fuoco sia il castello che il paese, sottraendolo così al dominio angioino. Luigi III Gesualdo, quando Napoli divenne Vicereame spagnolo riuscì ad ottenere il feudo di Conza, mentre Luigi IV ebbe da don Pedro da Toledo il titolo di principe e vari feudi, fra cui quello di Venosa. Gli spagnoli donarono poi il feudo di Gesualdo a Carlo, che fu l’ultimo discendente “normanno” della famiglia dei Gesualdo, figlio di Fabrizio II e di Geronima Borromeo sorella di S.Carlo e nipote di Pio IV.

La cronaca rese famoso Carlo Gesualdo, Conte di Conza e Principe di Venosa, per aver comandato l’uccisione della bellissima moglie Donna Maria d’Avalos sorpresa con il suo amante, il duca d’Andria Fabrizio Carafa, “nella propria camera nunziale la notte del 27 ottobre 1590” e per aver poi ordinato anche l’uccisione del figlio di pochi mesi, ritenuto illegittimo, facendolo porre in una culla sospesa alla volta di una galleria del suo castello, e agitata poi con tanta forza fino a provocarne la morte.
Il Principe cercò di placare i suoi rimorsi lasciandosi travolgere dalla musica e dalla letteratura; compose moltissimi madrigali e passò giornate intere nella sua biblioteca; quindi commissionò una grande tela, “il Perdono”, realizzata nel 1609 da Giovanni Balducci, che lo ritraeva insieme alla moglie Eleonora mentre, inginocchiato e sotto la mano protettrice dello zio Carlo Borromeo, chiedeva perdono per il reato compiuto; gli studiosi sostengono che la tela fu voluta da Carlo Gesualdo per essere ritratto insieme a San Carlo, ed “avere così un accompagnatore di eccezione di fronte alla corte celeste”.

Con l’aiuto del Vicerè di Napoli Giovanni Juniga e dei suoi parenti alti prelati, il Principe fu protetto e presto assolto dalla Legge per il reato compiuto, ma cercò ugualmente conforto nella religione. Fece costruire due monasteri, uno dei Domenicani e l’altro dei Cappuccini, il primo intitolato al S.mo Rosario e il secondo a S. Maria delle Grazie. Il convento dei Cappuccini fu completato da Nicolò Ludovisi, nipote di Papa Gregorio XV e sposo di Isabella d’Este, nipote di Carlo Gesualdo, quando quest’ultimo era ancora in vita, mentre il secondo venne finito seguendo le sue ultime volontà, raccolte il 3 settembre 1613 da Notar Paolo Scarpa di Sorbo, e pubblicizzate dalla sua seconda moglie Donna Eleonora d’Este, nipote della Gran Duchessa di Ferrara, il 29 settembre dello stesso anno.

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