Festa dei gigli a Nola, obelischi portati a spalla dai membri delle paranze

Durante la festa del Giglio del 4 luglio, a Nola, vengono portati a spalla otto obelischi, macchine sceniche molto complesse, dai 120 membri delle "paranze" nolane.

Alcuni storici sostengono che l’origine della struttura risalga ad antichi rituali arborei in cui il majo, l’albero più grande, veniva assunto come simbolo della fecondità. Con la differenza che attorno al majo si girava e ci si muoveva, mentre il giglio, invece, è dinamico e viene spostato fra la gente. Anche il suo significato simbolico è diverso da quello delle antiche feste caratterizzate dal culto fallico. Il giglio infatti é più vicino alla religione e alla devozione per il Santo patrono che non alla domanda di prosperità.
Ma c’è anche l’ipotesi che vede i gigli come un’evoluzione esasperata dei “cataletti”, le portantine di legno con cui i fedeli trasportavano i grandi ceri accesi in onore del Santo patrono. Le candele in dialetto si chiamavano “cilii”, e da qui nasce il termine gigli.
Nel corso dei secoli le dimensioni dei cataletti si sono fatte sempre più grandi, la forma da quadrata è diventata piramidale, con più piani sovrapposti, e al posto dei ceri sono comparsi i primi decori fatti con fiori e spighe di grano.

Poi nel ‘700 è iniziata la competizione fra le varie corporazioni di mestieri, gli obelischi hanno assunto altezze sempre maggiori e i decori sono diventati più sofisticati. Nell’800 cominciano gli addobbi con drappeggi e cartapesta e i gigli vengono arricchiti con motivi gotici, barocchi e rococò.
La costruzione dei gigli di Nola è molto complessa e occorrono alcuni mesi di lavoro. Si utilizzano essenzialmente l’abete, il pioppo o il castagno ben stagionati perché ogni volta che il giglio viene sbattuto per terra deve emettere un suono secco. Nel lavoro sono impegnati carpentieri, maestri d’ascia, pittori, scultori, e il disegno è ormai sempre più spesso opera degli architetti. Per prima cosa si realizza la struttura centrale della guglia, la “borda”, introdotta per la prima volta nel 1887 per dare maggiore stabilità ed elasticità al giglio.

Questo lungo asse si assottiglia nella parte alta ed è composto dall’unione di quattro legni giuntati fra loro con dei bulloni e dei fermi. Quando la borda è finita, ma non prima di aver affisso sul legno l’immagine di San Paolino, viene alzata ed appoggiata ad un palazzo, e con delle lunghe corde si lega dove si può, in modo che non cada. Se l’operazione va a buon fine, fra gli scoppi di petardi e mortaretti il “mastro di festa” con il capo paranza e tutti i componenti della corporazione stappano lo spumante, brindano e bagnano l’asta per buon augurio. A questo punto si prepara la base del giglio, una struttura quadrata, alta tre metri e larga due metri e mezzo, con legni di venti centimetri di spessore. Al centro, a perpendicolo oppure leggermente inclinata all’indietro, si posiziona la lunga anima di legno attorno alla quale verrà costruita l’intera macchina scenica. Quindi si montano gli altri piani, in tutto sei pezzi, che si restringono e diventano più bassi mano a mano che si sale in alto. Le misure del giglio sono prefissate e devono essere uguali per tutti: ” for’ ‘e carcere” , dove c’è l’attuale Carcere Mandamentale, una giuria popolare ha il compito di controllare che ogni obelisco rientri nei parametri stabiliti, pena l’esclusione dalla festa.

Quando tutta l’ossatura è completa si sistemano le sbarre di legno che serviranno per sollevare la macchina: otto “varre” fisse che vanno da una parte all’altra della base, nel senso della lunghezza, e otto “varricelle” per lato, disposte nel senso trasversale, che possono essere sfilate quando bisogna attraversare i vicoli più stretti. Una volta le “varre” erano legate alla base con i “muscielli”, delle corde molto resistenti che sono state quasi del tutto sostituite da fasce elastiche e da altri materiali più moderni. Ora il giglio è completo e “spogliato”, pesa una ventina di quintali ed è alto venticinque metri.

Durante la processione i gigli sono accompagnati da una barca, anch’essa portata a spalla, che costituisce il fulcro attorno al quale ruota tutta la festa. A bordo ci sono la statua di San Paolino e quella di un turco con una sciabola in mano. Quest’anno per la prima volta nessun comitato ha fatto domanda per costruirla. Il Comune perciò ha chiesto alla Pro Loco di farlo ed ha stanziato un contributo di 35000 euro. Nel frattempo l’Associazione Contea Nolana ha proposto di costituire un comitato permanente a cui affidare il compito per gli anni futuri.
L’allestimento degli otto gigli avviene in diversi punti del centro storico di Nola, e a lavori ultimati gli uomini delle paranze, accompagnati dalla banda di musica, li spostano in prossimità delle abitazioni dei rispettivi “maestri di festa”. È il primo collaudo ufficiale, e ora finalmente si può rivestire l’ossatura con le opere di cartapesta realizzate dai maestri “giglianti”. L’arte di lavorare la cartapesta si è sviluppata a Nola all’inizio del 1800 e sebbene ormai si utilizzino prodotti sofisticati come i poliuretani o le resine epossidiche, la cartapesta rimane il materiale privilegiato per realizzare queste macchine sceniche dall’estetica sempre più sorprendente. La procedura per costruire i pannelli può sembrare all’apparenza semplice, ma in realtà nasconde un’arte che si tramanda da generazioni. Gli artigiani preparano prima i vari bozzetti in plastica e poi col gesso creano le forme su cui verrà modellata la cartapesta.

Dopo aver controllato che gli incastri dei singoli pezzi corrispondono esattamente, si passa alla pitturazione finale e quindi all’assemblaggio sul giglio “spogliato” che si fa utilizzando una carrucola montata in precedenza sulla cuspide. Quando l’obelisco è terminato pesa più di quaranta quintali, e i centoventi “cullatori” della paranza hanno il faticoso compito di trasportalo a spalla lungo le stradine del centro storico di Nola per fermarsi poi nella piazza del Duomo. Tutti i termini usati nella festa provengono dagli ambienti del porto di Napoli, dove una volta venivano reclutati gli uomini per il trasporto dei gigli: il paranzaro era chi organizzava il gruppo di portuali per scaricare le navi, mentre la “cullata” era il nome dato al movimento oscillatorio dei carichi trasportati a spalla. Purtroppo molti dei termini antichi stanno via via scomparendo perché la festa dei gigli è sempre più all’insegna della tecnologia e della competizione. Prima dell’avvento degli altoparlanti, ad esempio, c’era un comando che il paranzaro dava per alzare e sbattere a terra la pesante struttura: …”uagliù…aizate ‘e spalle…cuonce cuonce …e ghiettele!” con tre lunghi e lenti richiami all’attenzione. Oggi questa frase a Nola non si sente più. Ma si può ascoltarla a Brooklyn , nella comunità di nolani emigrati negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso, che nelle loro valige portarono anche un po’ delle loro tradizioni. Come la festa dei gigli che si tiene ogni anno a Williamsburg.

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