Il luogo scelto per la nuova sede della Biblioteca Classense, a Ravenna, fu quello prospiciente la chiesa di San Bartolomeo in “Turricula” e l’Ospedale di Santa Maria della Misericordia. I cantieri si protrassero fino al 1798, anno della soppressione napoleonica in seguito alla quale il complesso diventò la sede delle maggiori istituzioni bibliotecarie cittadine. Testimoniano della primitiva struttura l’antica porta d’ingresso, sul cui architrave si legge la data: “1523”, e una parte del primo chiostro.
A questi lavori si aggiunsero altri interventi, che produssero nel tempo un processo costruttivo stratificato, esito dell’alternanza di molteplici e differenti generazioni di architetti e di maestranze. Pur nella compresenza di soluzioni formali diverse che riflettono lo schema della struttura conventuale nella distribuzione tra ambienti di preghiera, di studio e di lavoro, il complesso rispecchia una successione di stile e tradizioni storiche che vanno dal modello rinascimentale al neoclassicismo. Un vestibolo cinquecentesco con il portale intagliato da Marco Peruzzi nel 1581 ed integrato da due telamoni e due grandi vasche con le statue dei santi dell’Ordine, San Romualdo e San Benedetto, introduce al refettorio, la “Sala Dantesca” dove dal 1921 si svolgono i cicli annuali delle Lecturae Dantis.
Realizzato negli ultimi due decenni del XVI secolo, il vasto ambiente è decorato dall’affresco di Luca Longhi (1507-1590) raffigurante Nozze di Cana (1580), mentre alla bottega del pittore spettano le pitture sulla volta. Nel secolo successivo vennero realizzati la cosiddetta Manica Lunga, il nuovo ospizio, la sopraelevazione del dormitorio e la chiesa di San Romualdo, adibita dal 2004 a Museo del Risorgimento sulla base di un progetto di Stefano Piazzi.
Edificato tra il 1630 e il 1632 su disegno dell’architetto Luca Danesi (1598-1672), il luogo di culto venne decorato da Giovanni Battista Barbiani (1593-1658 ca.) per quanto riguarda la cupola e la lunetta del coro, mentre altre ornamentazioni spettarono in seguito a Cesare Pronti (1626-1708) e a Bartolomeo Boroni (1703-1787). Tra i cantieri avviati tra XVII e XVIII secolo si inserì anche l’impresa edilizia del chiostro interno, straordinario per eleganza e grandiosità., con colonnato dorico in pietra d’Istria; progettato dal toscano Giulio Morelli, fu integrato tra il 1738 e il 1740 dal pozzo centrale realizzato dal ravennate Domenico Barbiani (1675-1752) su disegni di Giovanni Paolo Panini.
Ma è nel 1704 che, per volontà dell’abate Pietro Canneti (1659-1730), fu dato inizio all’ ”impresa memorabile” della monumentale libreria camaldolese, affidata all’architetto Giuseppe Antonio Soratini (1682-1762). Il cantiere intendeva dotare il complesso di una struttura destinata alla libreria, allestita in un unico ambiente del monastero già dal 1648. Di questa originaria struttura non resta traccia, ad eccezione, in parete, dei medaglioni alternati ad emblemi che documentano l’attività delle diverse accademie che durante il XVII secolo si riunivano nel complesso. Con l’architetto Soratini collaborarono l’intagliatore Fausto Pellicciotti, per le scansie lignee di Antonio Martinetti, che plasmò le decorazioni in stucco e Francesco Mancini (1679-1758), autore dei due grandi olii su tela raffiguranti l’unione della Chiesa greca con la Chiesa latina, fattasi nel Concilio di Firenze per opera di Ambrogio Traversari e Gregorio IX e il monaco camaldolese Graziano, e dell’affresco del soffitto, con La Divina Sapienza che manda la Teologia, la Filosofia e le altre Scienze ad abbattere l’Eresia, l’ignoranza e lo Scisma.
Conduce al vasto ambiente un vestibolo che si apre con un’arcata centrale raggiungibile attraverso un doppio rampante di scale, di effetto scenografico. Le tre sale superiori, Sala delle Scienze, Sala delle Arti e Sala dei Santi Padri protrassero al 1780 il progetto del Soratini, deceduto nel 1762. Un “gioiello di stile neoclassico” può essere considerata la Sala delle Scienze, edificata nel 1780 su disegni di Camillo Morigia (1743-1795). Al centro della volta, gli stucchi di Giacomo Bonesani, Paolo Giabani e Paolo Trifogli incorniciano con un attardato barocchetto dove si insinuano motivi antiquariali l’affresco con Il trionfo della Virtù, opera allusiva alla vittoria della Virtù sull’oblio del Tempo eseguita dal pittore Mariano Rossi (1731-1807).
Emilia-Romagna: vedi anche
Nelle vetrine sono disposti gli strumenti scientifici e matematici provenienti, al pari della biblioteca, da un lascito testamentario dello stesso Camillo Morigia. Da segnalare, al secondo piano, la successione delle sale settecentesche arredate con scansie lignee dell’epoca, alcune provenienti dalle biblioteche soppresse delle abbazie ravennati di San Vitale e di Santa Maria in Porto. I lavori di adattamento e di intaglio sono riferibili ad Ambrogio Moretti e a Francesco Ferrari, che li realizzarono su disegni di Domenico Barbiani. Tra le sale superiori si ricordano la Sala Ricci, che accoglie il fondo bibliografico e l’archivio privato di Corrado Ricci (1858-1934) (donazione 1934) e la Sala Dantesca, dove si conserva dal 1908 la collezione di edizioni dantesche rare già appartenute a Leo S. Olschki, e acquisite dal Comune di Ravenna nel 1905.
Nel 1984, Marco Dezzi Bardeschi progettò la Sala degli otto pilastri nella Manica Lunga al pian terreno, già magazzino di Classe ed ora spazio espositivo. Agli allievi dell’Istituto d’Arte di Firenze e di Ravenna e dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna si deve invece il pavimento a mosaico, allusivo al tema dell’armonia delle sfere e ad un’immaginaria mappa riferita ad una terra perduta (Ravenna-Atlantide), eseguito su progetti di Maria Grazia Brunetti e dello stesso Dezzi Bardeschi. Un altro intervento funzionale è stato realizzato da Gianpiero Cuppini nel nuovo blocco di fabbrica che fronteggia l’antico.