Sulle vicende del monastero siamo informati dal Chronicon Vulturnense, un codice miniato redatto nel 1130 da un monaco di nome Giovanni, che aveva usato a sua volta fonti interne del monastero di VIII-XI secolo. La fondazione risalirebbe, secondo il Chronicon, all’inizio dell’VIII secolo e sarebbe dovuta a tre nobili beneventani, Paldo, Taso e Tato, e alla loro ricerca di un luogo in cui dedicarsi alla vita ascetica. L’area prescelta era stata frequentata in età tardoromana come mostrano i resti di una chiesa e di un’area sepolcrale di V-VI secolo d.C.
Un momento particolarmente importante per la comunità monastica è il 787 quando Carlo Magno pone il monastero sotto la sua diretta protezione, emanando un privilegio contenente esenzioni fiscali e giudiziarie e l’autorizzazione alla comunità ad eleggere il proprio abate senza alcuna interferenza da parte di altre autorità ecclesiastiche.
L’importanza rivestita dall’abbazia è dovuta alla sua posizione di avamposto, al confine tra il principato longobardo di Benevento e le terre conquistate dai Franchi, e viene sottolineata nell’849, quando, in seguito alla divisione del principato di Benevento tra territori soggetti a Salerno e a Benevento, il monastero di S. Vincenzo al Volturno rimane un’entità autonoma, direttamente soggetta all’autorità imperiale.
Un momento di grande difficoltà per la comunità monastica si ha nella seconda metà del IX secolo a causa dei movimenti dei saraceni che sfociano nell’attacco dell’ottobre delll’881, conclusosi con l’incendio che danneggiò gravemente il cenobio; in seguito a tale evento, i monaci superstiti furono costretti a rifugiarsi presso i principi longobardi di Capua.
Campania: vedi anche
La ricostruzione del monastero si avrà solo alla fine del X secolo con l’aiuto degli imperatori tedeschi, Ottone II e Ottone III. Alla fine del XI secolo, a causa della minaccia normanna, il cenobio viene trasferito lungo la riva destra del Volturno in una posizione più sicura e difendibile (il cosiddetto “San Vincenzo Nuovo”).
Nel corso del XIII-XV secolo inizia la decadenza e lo sfaldamento del complesso monastico e delle sue proprietà terriere (che si estendono in Molise, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia), che nel 1699, per volere dell’ultimo abate Innico Caracciolo, passeranno sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Montecassino.