Cosa vedere in Antartide: tra ghiaccio e vita

La superficie dell’Antartide è grande quanto l’Europa e gli Stati Uniti messi insieme. È un continente libero, senza frontiere e popolato da persone provenienti da varie nazioni che anche durante i periodi di alta tensione politica mondiale convivono pacificamente accomunati dallo stesso interesse per la ricerca scientifica. Ecco cosa vedere in Antartide.

Antartide © Gustavo Spadetta
Antartide © Gustavo Spadetta

Con i suoi meno 50° C di temperatura media invernale che il 21 luglio 1983 presso la stazione russa di Vostok, l’Antartide ha raggiunto il valore record di meno 89,6°C, una densità abitativa che durante la lunga notte australe è pari a 13.000 km² per abitante e che diventa di “appena” 1700 km² nel periodo estivo, le sue montagne che raggiungono i 5400 metri di altezza, l’Antartide è un laboratorio unico nel suo genere dove si studia lo stato di salute del pianeta, si ricostruisce il suo passato e si formulano nuove ipotesi per il suo futuro.

Il termine Antartide fu coniato dagli antichi greci nel VI secolo avanti Cristo: Antarktikos era l’emisfero opposto a quello che conteneva la costellazione della stella Polare, l’Orsa Minore o Arktikos. Mentre ai filosofi, da Pitagora ad Aristotele va il merito di aver immaginato la Terra sferica.

Nel II secolo dopo Cristo l’astronomo e geografo Claudio Tolomeo riprendendo le ipotesi greche pensò che per controbilanciare il peso delle terre presenti nell’emisfero nord doveva per forza esserci un continente anche nell’emisfero meridionale. Ma ancora per molto tempo si sarebbe favoleggiato sull’esistenza o meno di una terra al Polo sud. La prima raffigurazione delle coste dell’Antartide risale al 1513, quando l’ammiraglio turco Piri Reis pubblica una sua carta dell’Altantico in cui, a sud della Terra del Fuoco, compare una costa sconosciuta che ricalca in modo incredibile il profilo dell’Antartide come probabilmente era prima della sua glaciazione. Nel 1569 il fiammingo Gerhard Kremer, più noto come Gerardus Mercator, il padre delle proiezioni cartografiche ancora oggi utilizzate per la navigazione piana, disegnò nella parte meridionale del suo mappamondo un vasto continente, dai profili immaginari e che copriva per intero la calotta polare: la Terra Australis Incognita. Il primo navigatore a sfidare i quaranta ruggenti e i cinquanta urlanti fu James Cook, che tagliò il circolo polare antartico nel 1773.

Ma il primo vero avvistamento è quello del 27 gennaio 1820, quando una spedizione comandata dall’estone Fabian Gottlieb von Bellingshausen a bordo del Vostok navigò a circa venti miglia di distanza dalla costa antartica. Mentre il capitano americano, John Davis fu il primo a sbarcare sul Continente il 7 febbraio 1821. Dopo quella data ci saranno molte altre spedizioni, alcune finite tragicamente altre in modo trionfante. Tutte però contribuiranno alla conquista dell’ultimo luogo sconosciuto del pianeta.

Il Polo Sud

Ma il Polo Sud non è soltanto la memoria storica della nostra evoluzione geologica, è anche un attendibile termometro che registra costantemente il livello di inquinamento del pianeta. Da questo punto di osservazione privilegiato, infatti, grazie ad una fitta rete di rilevatori sia manuali che automatizzati si monitorizzano in modo accurato la dimensione del buco di ozono e l’entità dell’effetto serra. Ma non solo. Da qui gli scienziati effettuano importanti ricerche cosmologiche, come lo studio delle particelle di idrogeno ionizzato che provengono dal sole e che interagiscono con il “magnete terra” provocando le cosiddette tempeste magnetiche. Eseguono poi osservazioni astronomiche nelle bande millimetrica e dell’infrarosso per captare la radiazione di fondo cosmico, ovvero il residuo dell’energia liberata durante il Big Bang, nella speranza di riuscire a far luce su come nascono le galassie e su cosa sia accaduto durante i primi istanti della vita dell’Universo.

Il Trattato Antartico

Giuridicamente il Continente di Ghiaccio è regolato da un patto internazionale di neutralità, il Trattato Antartico, che sospende qualsiasi rivendicazione territoriale a sud del 60° parallelo, vieta ogni tipo di esperimento di natura bellica e nucleare, favorisce lo sviluppo della cooperazione scientifica internazionale e assicura la conservazione e la protezione della flora e della fauna sull’intero territorio. Il trattato fu firmato a Washington il 1° dicembre 1959 da dodici dei quaranta paesi partecipanti all’Anno Geofisico Internazionale del 1957-1958 ed entrò in vigore nel 1961.

Con quel documento al Polo Sud veniva dato un sistema giuridico che “internazionalizzava” il Continente “congelando” così il problema di quegli Stati che per interessi strategici ne rivendicavano la sovranità. Nell’accordo sottoscritto mancava però qualsiasi riferimento all’eventuale sfruttamento economico delle risorse energetiche e naturali, e la sua durata fu fissata in trenta anni, alla cui scadenza tutti gli accordi presi potevano essere rimessi in discussione da qualsiasi Stato contraente, e quindi rinegoziati. Una impostazione così “elastica” forse fu dettata dal fatto che già all’epoca giravano insistenti voci su possibili giacimenti di idrocarburi individuati fra il mare di Weddel e il mare di Ross.

Erano voci fondate, visto che ne 1973 la Nuova Zelanda, il Giappone e gli Stati Uniti grazie ad un progetto di trivellazione avviato nell’Area di Ross trovarono sotto una crosta di ghiaccio spessa centinaia di metri riserve di petrolio valutate in 40 miliardi di barili. La notizia apriva nuovi e inquietanti scenari politici ed economici proprio quando all’orizzonte si profilava la grande crisi energetica della fine degli anni ’70. Ci fu così una vera e propria corsa all’Antartide da parte di quegli stati che al momento della firma erano rimasti fuori dal Trattato.

Bisognava a tutti i costi far parte del gruppo d’ élite per poter avere in seguito il diritto di sfruttamento di quell’immenso territorio che nascondeva chissà quali risorse minerarie e petrolifere, oppure per poter pescare liberamente nelle sue gelide acque tonnellate e tonnellate di krill, un piccolo e nutriente gamberetto, tanto indispensabile alla catena alimentare della fauna antartica, quanto interessante per l’industria zootecnica e alimentare.

Senza dimenticare che nella calotta polare antartica si concentra il 91% dei ghiacci del pianeta, ovvero il 68% delle riserve d’acqua dolce. Questo dato assume un’importanza economica enorme se si pensa che l’aumento demografico registrato fra il 1900 e il 1995 ha sestuplicato il consumo di acqua dolce del pianeta e precipitato nell’emergenza idrica almeno un terzo della popolazione mondiale.

Antartide

Sistema del Trattato Antartico

Per arginare le ambizioni economiche e territoriali di molti paesi nacque il Sistema del Trattato Antartico, e al Patto firmato a Washington furono affiancati il CCAS, la Convenzione per la Conservazione delle Foche Antartiche nel 1978, e nel 1980la CCAMLR, una convenzione per la tutela della conservazione delle Risorse Viventi dei Mari Antartici. Pochi anni dopo, però, a Wellington fu varata un’altra Convenzione che invece autorizzava e inquadrava lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Antartico.

Il Protocollo di Madrid

Poi il protocollo di Madrid, firmato nel 1991 ed entrato in vigore il 14 gennaio 1998, ha messo finalmente al bando per i prossimi 50 anni ogni tipo di sfruttamento minerario e impone alle nazioni operanti la valutazione dell’impatto ambientale per qualsiasi attività. Il documento pone così fine a tutte le ambizioni economiche e definisce l’Antartide “a natural reserve devoted to peace and science”.Il Trattato Antartico è stato finora sottoscritto da 45 nazioni che rappresentano più dell’80% della popolazione mondiale.
I motivi che spinsero all’istituzione dell’Anno Geofisico del 1957 furono gli stessi di quelli che portarono all’organizzazione del primo e del secondo Anno Polare Internazionale, rispettivamente nel 1883 e nel 1932-33: scoprire l’Antartide, le sue risorse e i suoi segreti. Il prossimo Anno Polare Internazionale si terrà nel 2007.

L’evento venne promosso dai più grandi scienziati del mondo per razionalizzare le risorse umane ed economiche e per realizzare un vasto progetto di studio sul magnetismo terrestre e sulla alta atmosfera. In quella occasione si istituì lo Scar, lo Scientific Commitee on Antarctic Research, con lo scopo specifico di coordinare la ricerca in Antartide. Il progetto segnò l’inizio dell’ esplorazione del sesto Continente e, con il lancio del primo satellite artificiale, anche l’era spaziale.
A quella massiccia spedizione, la più imponente nella storia delle esplorazioni, presero parte circa diecimila uomini provenienti da dodici diverse nazioni che installarono quaranta stazioni scientifiche distribuite su tutta la calotta polare.
Prima di quell’iniziativa in Antartide c’erano soltanto una decina di basi permanenti gestite in prevalenza da americani e sovietici. Con i programmi organizzati dall’Agi partiva invece una più ampia attività di ricerca basata sulla cooperazione internazionale e sulla condivisione dei dati raccolti. Oggi in Antartide si contano 68 basi scientifiche internazionali e interdisciplinari.

EPICA, l’ European Project for Ice Coring in Antartica

Da allora, in oltre quaranta anni di studi è stata raccolta una enorme quantità di dati e gli ultimi importanti risultati ottenuti sono quelli relativi al progetto EPICA, l’ European Project for Ice Coring in Antartica. Epica è un programma di perforazione profonda nel ghiaccio a cui hanno partecipato dieci nazioni, effettuata nella località Dome C in prossimità della stazione Concordia, a 3230 metri di altitudine e a oltre 1000 chilometri dalla costa. L’attività di carotaggio è iniziata nel 1996 e si è conclusa il 21 dicembre 2004 estraendo dalla profondità di 3270,2 metri una carota di ghiaccio risalente a circa 900.000 anni fa. Grazie a tutte le carote perforate durante l’esperimento gli scienziati hanno ora a disposizione informazioni climatiche dettagliate e continue che coprono un periodo di circa 10-12 cicli glaciale-interglaciale alternati di circa centomila anni l’uno dall’altro. Questa lunghissima fotografia climatica del pianeta si è formata con la stratificazione della neve caduta in Antartide durante i millenni.

La neve ghiacciata ha imprigionato ed archiviato le informazioni di tipo atmosferico contenute nelle particelle di gas presenti nell’aria al momento della sua deposizione. Dallo studio dei campioni è possibile ricostruire la composizione dell’atmosfera nelle varie epoche, l’evoluzione della temperatura sulla superficie della Terra e i cambiamenti climatici avvenuti da allora fino ad oggi, capendo anche quanto l’inquinamento provocato dall’uomo abbia inciso sul clima.

La carota di ghiaccio, lunga più di tre chilometri, non è stata ancora interamente esaminata, ma i primi dati hanno già dato importanti novità: innanzitutto dall’analisi degli strati meno profondi, cioè quelli che registrano gli avvenimenti dell’ultimo secolo, si è riscontrata una riduzione di piombo e di clorofluorocarburi, il famigerato CFC responsabile dell’assottigliamento dello strato di ozono, mentre sono aumentati gli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nella benzina verde oppure prodotti dalla combustione dei rifiuti e dagli impianti di riscaldamento.
Anche la concentrazione di biossido di carbonio, responsabile dell’effetto serra, negli ultimi 440mila anni non è mai stata così alta come oggi.

Altri dati emersi dalla lettura della carota estratta a Dome-C riguardano la temperatura e la durata dei periodi caldi e freddi causati soprattutto da fenomeni astronomici, come le impercettibili modifiche dell’orbita della Terra intorno al Sole e dell’inclinazione del suo asse di rotazione, che portano a variazioni di quantità di energia solare che giunge alle alte latitudini. Dallo studio dei campioni presi in esame si è visto che temperature simili a quelle attuali si sono già avute negli scorsi 400mila anni ma non prima, che epoche calde come la nostra occupano soltanto il 5-10% del lasso di tempo preso in esame e che l’attuale periodo caldo interglaciale, iniziato 11.500 anni fa, dovrebbe durare almeno altri 13mila anni, sempre ché l’uomo non ci metta del suo. Quindi l’incubo di una nuova era glaciale immaginata nel film “The day after tomorrow” sembra, per ora, scongiurata. Tuttavia, anche se all’orizzonte non si prospetta nulla di catastrofico gli studiosi suggeriscono di tenere sotto controllo l’azione dell’uomo sul clima e sull’ambiente e di valutare le mutazioni del quadro climatico generale senza allarmismi ma certamente con realismo scientifico.

La Commissione svizzera di ricerca polare, CSP

Anche la Commissione svizzera di ricerca polare, CSP, ha partecipato al progetto Epica. Durante il 28° SCAR meeting che si è tenuto a Bremenhaven dal 3 al 9 ottobre 2004 la CSP ha ricevuto il riconoscimento internazionale per il lavoro svolto in Antartide e grazie agli importanti risultati ottenuti a Dome C dagli scienziati delle università svizzere la Confederazione Elvetica è diventata membro effettivo dello Scientific Commitee on Antarctic Research.

Fino a 140 milioni di anni fa l’Antartide apparteneva al megacontinente Gondwana, che includeva Africa, Arabia, India, Australia, Nuova Zelanda e Sud America. Alla fine del Giurassico è iniziato lo smembramento del supercontinente e circa 20 milioni di anni fa l’Antartide si è completamente distaccata dalle altre terre per andare lentamente ad occupare la calotta polare. Una deriva durata milioni di anni, teorizzata negli anni Venti da Alfred Wegener, lo scienziato tedesco che ricostruì la fisionomia della Pangea, e che soltanto nel 1950, con la messa a punto delle mappature geologiche dei fondali marini, è stata avvalorata da riscontri scientifici.

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